diritto amministrativo, diritto scolastico, diritto sanitario

Villa Literno, architetto demansionato e perseguitato: Comune condannato al risarcimento danni

Dal 2011, dopo le elezioni amministrative a Villa Literno, l’architetto Antonio Fabozzi, dipendente dell’ufficio tecnico comunale, era divenuto bersaglio, come da lui denunciato all’autorità giudiziaria, di una condotta persecutoria e vessatoria, venendo isolato all’interno dell’Ente, demansionato e, pertanto, danneggiato sotto il profilo umano, professionale ed economico. Una vicenda di “mobbing”, o meglio di “straining”, finita in tribunale nel 2017. Sei anni dopo Fabozzi, rappresentato e difeso in giudizio dall’avvocato Pasquale Marotta, ha ottenuto giustizia. Con sentenza del 6 dicembre scorso, il giudice Stefania Coppo del Tribunale di Napoli Nord in Aversa ha condannato il Comune di Villa Literno al pagamento, a favore del ricorrente, di 23.746,56 euro a titolo di danno alla professionalità e di 7.170 euro a titolo di danno non patrimoniale per invalidità permanente, oltre al pagamento delle spese di lite, per complessivi 4628,50 euro, interessi e rivalutazione, spese per Ctu, spese generali e altri oneri. Assunto alle dipendenze del Comune di Villa Literno dal 23 febbraio 1983 con la qualifica di geometra comunale, Fabozzi dal 2003 al 2011 ha ricoperto l’incarico di capo dell’Ufficio tecnico comunale e di istruttore e coordinatore direttivo dello stesso ufficio. Dopo le elezioni amministrative del maggio 2011, il Comune affidava la posizione dirigenziale di tutta l’area tecnica ad un tecnico esterno, accorpando il settore urbanistica ed edilizia in un’unica area e conferendo incarichi esterni afferenti all’area tecnica. Fabozzi presentava ricorso e così veniva di nuovo trasferito nell’area tecnica ma all’interno di un locale angusto e malsano, non disponendo di una sedia, scrivania e di un computer, senza alcuna mansione o compito, se non genericamente quello di “collaborare”, e senza alcun impegno tecnico specifico coerente con le proprie competenze e con l’esperienza maturata. Gli veniva negato anche il nullaosta per ottenere l’incarico di responsabile dell’area urbanistica al Comune di Alife, nell’Alto Casertano; incarico che gli avrebbe consentito lo svolgimento di mansioni adeguate alle sue competenze. Una situazione che, dal giugno 2013, aveva cagionato a Fabozzi un danno patrimoniale connesso alla posizione retributiva D6 conservata fino al 2011 e la perdita delle chance di benefit economici previsto dal Codice dei contratti pubblici, nonché un danno invalidante permanente nella misura del 15% vista la sua condizione patologica di soggetto depresso e ansioso, certificata in più occasioni nel 2016 dall’Asl Napoli 1 e dall’Asl Caserta. Da parte sua, il Comune di Villa Literno sosteneva che il dipendente non avesse svolto correttamente i propri compiti e le proprie funzioni, costringendo l’Ente al conferimento al personale esterno, che il conferimento della posizione organizzativa rientrava nella facoltà del sindaco e che Fabozzi aveva assunto una posizione “di rifiuto e estraneità delle proprie mansioni fino al 2011” a tal punto da non aver contatti con i responsabili della posizione organizzativa, e che si era resa necessaria “l’attivazione di numerosi procedimenti disciplinari”. Ma il giudice, dall’esame della copiosa documentazione depositata dal ricorrente e non contestata dal Comune e dalle testimonianze di altri dipendenti comunali, ha ritenuto che Fabozzi non abbia mai ricevuto una sanzione disciplinare né che gli sia mai stata contestata nel corso degli anni alcuna inadempienza rispetto al proprio operato. Inoltre, ha sempre percepito una retribuzione conforme al suo inquadramento contrattuale. “Ciò vuol dire – scrive il giudice nella sentenza – che le difese del Comune in ordine al non corretto svolgimento dell’incarico da parte del ricorrente, tale da giustificare l’affidamento a soggetti esterni delle mansioni, restano mere affermazioni prive di riscontro e, anzi, smentite dalla condotta dello stesso Ente locale, che mai ha sanzionato o richiamato il ricorrente”. Pertanto, risulta evidente che “il ricorrente – scrive ancora il giudice – sia stato posto in una condizione di totale inoperosità e sia stato, ingiustificatamente, privato degli strumenti di lavoro basilari” e che si tratti di una vicenda di “straining”, ovvero una situazione di stress in cui il lavoratore viene a trovarsi in ragione del comportamento ostile e/o stressante posto in essere volontariamente dal datore di lavoro o comunque da un superiore gerarchico. Per quanto riguarda, in particolare, il danno biologico, il consulente nominato dal tribunale, dottor Raffaele Iorio, ha accertato la sussistenza del nesso di causalità tra l’infermità riscontrata e gli eventi connessi l’attività lavorativa svolta dal ricorrente. “Il ricorrente – scrive il Ctu – è affetto, per quanto è causa, da Disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso che determina una menomazione della sua integrità psicofisica”, specificando che le attuali condizioni morbose hanno un “primum movens” anamnestico nell’anno 2011 e documentale nel 2014, in assenza di rilevabili precedenti morbosi insorti in epoca anteriore ai fatti di causa correlabili

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